lunedì 28 Apr 2025

Era il 1986 quando, nel cuore dell’antico complesso di San Lorenzo ad Septimum, durante lavori di manutenzione presso la scala che conduce al secondo livello del chiostro minore, accadde qualcosa di inatteso. I pavimenti moderni vennero rimossi, e ciò che riemerse dal sottosuolo lasciò sorpresi operai e studiosi: sei sepolture, antiche e misteriose, che aprivano una finestra inattesa sulla lunga storia del sito. Quella scoperta fortuita segnò l’inizio di un’importante fase di ricerche archeologiche nell’area dell’abbazia, che oggi ricade nel territorio urbano di Aversa.

Fino ad allora, le conoscenze sulla frequentazione antica del luogo erano scarse e frammentarie, basate su segnalazioni occasionali e testimonianze locali. Ma proprio quelle tombe, celate sotto una semplice scala in muratura, offrirono le prime prove tangibili di una continuità di vita e di morte, di riti e presenze, che attraversavano epoche molto distanti tra loro. Le tombe emerse nel corso di quell’intervento non erano tutte uguali. Quattro risultarono essere semplici fosse, orientate lungo l’asse est-ovest e scavate direttamente nella pozzolana. Poco profonde, erano già state manomesse al momento della costruzione del campanile medievale, come dimostrano le tracce di alterazione e gli elementi architettonici sovrapposti.

Un’altra sepoltura si presentava come una cassa in blocchi di tufo grigio, sistemata in un angolo e posta a una profondità maggiore rispetto alle altre. La sua posizione e la tecnica costruttiva lasciavano intuire un’origine ben più antica, probabilmente da collocare tra il IV e il III secolo a.C., in un periodo in cui il territorio era ancora dominato dalla cultura sannitica. Accanto a questa, una sesta tomba presentava una struttura muraria più articolata, composta da scaglie di tufo, frammenti di tegole e malta terrosa, con un piano di deposizione formato da tegole affiancate. Questo tipo di costruzione sembrava appartenere a una fase successiva, probabilmente altomedievale, e indicava un riutilizzo intenzionale dell’area a scopi funerari. Il fatto che tombe di epoche differenti fossero state collocate in uno spazio tanto ristretto dimostrava chiaramente come l’area avesse mantenuto nel tempo un ruolo di particolare significato, forse sacro, forse semplicemente pratico.

Tra i ritrovamenti più significativi, spiccava proprio la tomba in cassa di tufo. Ben squadrata, costruita senza malta, orientata secondo un asse sud-est/nord-ovest, questa sepoltura presentava tutte le caratteristiche delle tombe sannitiche, rare in questo tratto di Campania settentrionale. Il rinvenimento di un piccolo boccale monoansato, privo di decorazioni e risalente al VII-VIII secolo, suggeriva un possibile riutilizzo in epoca altomedievale. Si trattava, in sostanza, di una tomba “riciclata”, riaperta e riadattata secoli dopo la sua costruzione originaria.

Pochi resti scheletrici erano ancora presenti all’interno: frammenti ossei sparsi, mal conservati, ma sufficienti per avviare analisi paleopatologiche e tentare una datazione precisa. Anche se le condizioni non consentivano uno studio completo, quei pochi elementi offrivano spunti per ricostruire una possibile storia individuale, magari di un contadino, un monaco o un abitante del villaggio che gravitava attorno al monastero. Ciò che emerse chiaramente da questa scoperta fu la complessità stratigrafica del sito. Le tombe erano state scavate in tempi diversi, alcune già violate o danneggiate da interventi medievali, altre apparentemente intatte. Il piano della sepoltura più antica si trovava a oltre due metri sotto il livello moderno, mentre le altre erano a profondità inferiori, segno di un progressivo accumulo di terreno e materiali nel corso dei secoli.

Sopra le sepolture, infatti, passavano le fondazioni del campanile e delle mura del chiostro, elementi che contribuivano a raccontare l’evoluzione architettonica del complesso abbaziale. Questa scoperta rappresentò il punto di partenza per una nuova lettura del sito di San Lorenzo, fino ad allora considerato importante quasi esclusivamente per la sua storia medievale. L’emergere di tombe sannitiche e altomedievali in uno spazio tanto centrale e apparentemente secondario, mostrava invece una continuità d’uso che superava le epoche e le dominazioni. Non si trattava più solo di un cenobio normanno, ma di un luogo abitato e frequentato ben prima della fondazione ufficiale della città. Nel tempo, ulteriori indagini avrebbero confermato questa visione, portando alla luce tratti dell’antica Via Campana, strutture romane, nuove sepolture e resti di edifici scomparsi.

Ma tutto cominciò da lì: da quella scala apparentemente anonima, da quel pavimento sollevato per lavori ordinari, sotto cui si celavano le voci mute di vite passate. Ancora oggi, quegli spazi raccontano qualcosa a chi sa guardare. Ogni lastra di tufo, ogni frammento ceramico, ogni variazione nel terreno parla di un tempo in cui la morte e la memoria si intrecciavano nella quotidianità, e in cui costruire sopra le tracce dei predecessori non era un atto di distruzione, ma una forma di continuità. E così, nel silenzio di un chiostro, una scala si è trasformata in portale del tempo.

GIUSEPPE CRISTIANO